La predicazione secondo san Tommaso
Pietro il Cantore, nel XII secolo, aveva enucleato in tre attività il compito del maestro in sacra teologia: Legere, Disputare, Praedicare. E così, la predicazione era lo scopo ultimo del commentare e del disputare; ma allo stesso tempo, il commentare (legere) e il disputare erano lo strumento indispensabile per una buona predicazione. Occorre conoscere (legere) in modo chiaro (disputare) ciò di cui si parla (praedicare).
Del resto, San Tommaso si distinse anche come predicatore oltre che come maestro in teologia. Il sentimento che certamente guidava la sua oratoria sacra risulta da quanto egli stesso dice a proposito degli ordini religiosi deputati all’insegnamento e alla predicazione: «Sicut enim maius est illuminare quam lucere solum, ita maius est contemplata aliis tradere quam solum contemplari» (S.Th. II-II, 188,6). Come l’illuminare supera l’essere semplicemente luminoso, così il trasmettere ad altri ciò che si è contemplato supera l’essere semplicemente contemplativi. La contemplazione è l’ambiente proprio della predicazione cristiana. D’altra parte, san Tommaso conosceva anche l’importanza della tecnica oratoria e dei suoi risvolti psicologici, tanto che nel commento alla lettera agli Ebrei ha un inciso efficacissimo al riguardo: «Sermones autem breves valde accepti sunt, quia si sunt boni, inde avidius audiuntur, si vero mali, parum gravant» (Super Heb., c.13, l.3). Le prediche brevi sono le più gradevoli, perché se sono buone si ascoltano con più desiderio, se invece sono cattive pesano meno.
Una medesima lezione di concisione e profondità, così da ricordare una complessità ben strutturata, si trova nelle preghiere: compendi di dottrina nella memoria delle cose pratiche.