Contemplata aliis tradere
La definizione più bella e riuscita del carisma dell’Ordine dei Predicatori è probabilmente quella che ne dà un suo illustrissimo frate, Tommaso d’Aquino, santo e Dottore della Chiesa, nella sua opera più conosciuta, la Summa theologiae (II-II, q. 188, a. 6). Tommaso non cita esplicitamente l’ordine di cui fa parte, ma lascia chiaramente intravedere di che cosa stia parlando, allorché afferma che la forma migliore di vita religiosa è quella ordinata a insegnare e a predicare. È infatti migliore la vita contemplativa di quella attiva, afferma l’Aquinate; ma ancora meglio è «trasmettere agli altri le cose che si sono contemplate, [piuttosto] che contemplare soltanto».
Contemplata aliis tradere: ecco una bella definizione del carisma dei frati Predicatori, che ne è divenuta quasi una parola d’ordine. L’Ordine deve vivere di una contemplazione, che quasi naturalmente, per una sorta di necessità intima, diviene predicazione di ciò che si è conosciuto.Vi sono tratti che caratterizzano coloro che vivono la spiritualità domenicana, a qualsiasi latitudine geografica e di pensiero. È una spiritualità che, in un modo o nell’altro, porta le stimmate del suo Fondatore, e dell’esperienza che lo segnò. Domenico e dei suoi primi compagni lottarono contro il dualismo dei «catari», che vedevano nel mondo materiale – e quindi nella corporeità, nelle istituzioni della società umana e della Chiesa, nella natura, e in ultima analisi nella ragione al di qua della fede – un’opera del diavolo, o addirittura di un dio malvagio. Questa lotta ha segnato il nostro Ordine. La spiritualità domenicana conosce le profondità dello spirito, ma non dimentica mai che l’uomo è un anima e un corpo. È una spiritualità che non disprezza, anzi valorizza, quanto è proprio della corporeità, del diritto e dei diritti dell’uomo, naturalmente sociale; che rende onore, anzi prova quasi meraviglia, di fronte alla ragione che cerca di andare fin là dove può.
Si potrebbe forse dire che la spiritualità domenicana si riassume con quelle parole decisive del prologo del Vangelo di Giovanni: Verbum caro factum est. Dio si è fatto carne, e per questo la carne non va disprezzata: si deve assumere, perché il Signore stesso la ha assunta, e ne ha fatto il cardine della salvezza – come dicevano i Padri della Chiesa.
Si potrebbe forse dire che la spiritualità domenicana si riassume con quelle parole decisive del prologo del Vangelo di Giovanni: Verbum caro factum est. Dio si è fatto carne, e per questo la carne non va disprezzata: si deve assumere, perché il Signore stesso la ha assunta, e ne ha fatto il cardine della salvezza – come dicevano i Padri della Chiesa.
Ma a farsi carne – sta scritto – è il Verbo: ossia, il Logos, Colui che è la Ragione stessa, il significato di tutto. «All’origine di tutte le cose deve esserci non l’irrazionalità, ma la Ragione creativa» (Benedetto XVI): questa è la certezza sulla quale i Domenicani cercano in ogni cosa la ragione, nell’opera della Ragione.
Per questo, fra le diverse parole-simbolo, tracciate sugli antichi scudi dell’Ordine, i frati Predicatori hanno il coraggio di scrivere: Veritas. Cercare la verità, fiduciosi che si possa dare, che si sia data agli uomini – anche se mai questi potranno esaurirne il Mistero –: crediamo che sia un modo di vivere molto bello, e molto attuale.
Crediamo, anzi, che non possa mai divenire inattuale, pur rimanendolo sempre.
Per questo, fra le diverse parole-simbolo, tracciate sugli antichi scudi dell’Ordine, i frati Predicatori hanno il coraggio di scrivere: Veritas. Cercare la verità, fiduciosi che si possa dare, che si sia data agli uomini – anche se mai questi potranno esaurirne il Mistero –: crediamo che sia un modo di vivere molto bello, e molto attuale.
Crediamo, anzi, che non possa mai divenire inattuale, pur rimanendolo sempre.
[di fra Marco Rainini]